domenica 12 gennaio 2014

Confessioni di una giornalistadiserieb pentita

Negli anni di questo blog e, soprattutto, di quello precedente (continuo a ripetere che Splinder sei e sarai sempre nel mio cuore, sigh...) ho capito una cosa importante: il nome che ho scelto per raccontare di me è completamente sbagliato.
Eppure, a quel tempo, se non erro era il lontano 2009, "giornalistadiserieb" mi era sembrata un'ottima idea. Volevo descrivere senza freni e senza remore le mie avventure/disavventure nel mondo del lavoro, di quel lavoro che sognavo fin da bambina e che, un po' per mie scelte di vita, un po' perché la realtà è sempre ben diversa dalla fantasia, non ha mai preso la forma che speravo.
Ma queste pagine virtuali non sono mai servite per compiangermi. Anzi.
Ringrazio quelli che nel tempo mi hanno detto che io non sono di "serie B" e che dovrei cambiare nome, ma non è per ricevere complimenti (comunque sempre ben graditi, sia chiaro) che mi chiamo così. 
Forse sarebbe meglio un "freelancenellanima" o un per niente modesto "giornalistadiserieA", ma chi mi conosce almeno un po' sa che sono un'inguaribile abitudinaria e che mi affeziono anche a una suoneria del cellulare, figuriamoci al blog.
Quando scrivo, ormai sempre più raramente (e un giorno, forse, riuscirò anche a spiegare il perché) lo faccio per sfogarmi, per ripristinare il giusto ordine delle cose e nella maggior parte dei casi per ironizzare su ciò che mi capita, sulle persone che conosco e che si prendono troppo sul serio e che a me fanno sorridere.
Forse non sempre ci riesco, ma se non altro l'intenzione è nobile.
Di recente, ad esempio, mi è capitato di intervistare uno dei belloni della tv nostrana e vederlo dal vivo non è stato come me lo aspettavo. Ma è ovvio che, per forza di cose, soprattutto se voglio continuare a pagare il mutuo e le bollette, non potrò mai dire cosa penso realmente e a piene lettere della sua capacità di recitare (che poi "capacità" è già una parola grossa di per sé).
Ecco "giornalistadiserieb" significa proprio questo: il fatto che la professione che svolgo non esiste, né come la immaginavo prima da bambina né come poi da ragazzotta, se non per rarissimi casi più che fortunati.
E, sebbene oggi la mia attività è considerata, da me in primo luogo, velleitaria e piuttosto inutile (soprattutto se l'obiettivo è raggiungere la pace nel mondo) non mi sento sminuita come persona e sono piuttosto consapevole delle mie abilità scrittorie.
Che poi, per carità, non vincerò mai il Pulitzer, ma nemmeno il Premio Cane (oddio, quello in realtà una volta l'ho vinto, ma si trattava di una competizione canora al karaoke).
Poi, certo, ho anche io i limiti professionali e personali, soprattutto quando si tratta di capire cosa le persone vogliano realmente da me.
Ma, questa (forse) è un'altra storia...

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